La Sfogliatella S. Rosa, uno degli esempi più conosciuti e sublimi della rinomata pasticceria partenopea è un dolce ricco di tradizione che custodisce al suo interno i segreti di una storia tanto lontana quanto magica… Storia antica che ci rimanda al 1700, nel monastero di Santa Rosa a Conca dei Marini ed alle sapienti mani delle monache di clausura che lo abitavano.
Tra una preghiera e l’altra le monache dedicavano il loro tempo anche in cucina. Essa veniva amministrata in un regime di stretta autarchia, tutto era prodotto in loco ed il menù, tranne che, ovviamente, per le monache anziane, era uguale per tutte. La tradizione locale tramanda che come spesso accade per le invenzioni più riuscite, la creazione di questo dolce avvenne per puro caso, infatti, in un giorno dedicato a fare il pane, la monaca cuoca, bravissima a fare dolci, si trova in avanzo della farina di semola cotta nel latte, buttare si sa è peccato, così pensa bene di aggiungerci alcuni ingredienti che abbondano in dispensa, prodotti nel loro fruttuoso giardino, pieno di alberi da frutto e di una vigna, dalla quale ottengono un buonissimo vino.
Quindi, aggiunge della frutta secca, del liquore al limone (all’epoca non era ancora diventato il famoso “Limoncello”) e dello zucchero, poi, arricchisce l’impasto del pane con un po’ di strutto e vino bianco, per trasformare la classica pasta in una frolla dolce, ne ricava due sfoglie dove mette all’interno il ripieno precedentemente preparato, crea una pasta a forma di cappuccio di monaca e la cuoce nel forno a legna. La bontà del dolce fu tale che la Madre Superiora rimanendo estasiata dal sapore e dall’odore del nuovo dolce, ne fiutò anche l’affare convincendosi che poteva far del bene sia ai contadini della zona, che alle casse del convento. Senza alcun pericolo per la rigorosa clausura, il dolce veniva messo sulla classica ruota in cambio di qualche moneta.
A questo dolce venne dato il nome della Santa a cui era dedicato il convento e la tradizione tramanda che il giorno della festa di S.Rosa, all’epoca il 30 di agosto, il dolce fosse donato a tutti i cittadini di Conca dei Marini. Nel tempo, la sfogliatella si arricchisce di nuovi ingredienti come: la ricotta, le amarene sciroppate, la crema pasticciera… Per più di un secolo, tuttavia, la ricetta della sfogliatella Santa Rosa rimase gelosamente custodita entro le mura del monastero di Conca dei Marini. Fu solo nei primi anni del XIX secolo che un oste napoletano, Pasquale Pintauro, titolare di un’osteria a via Toledo, di fronte Santa Brigida, riuscì ad ottenere (forse da una zia monaca) la ricetta originale della Santarosa.
Pintauro ebbe un’illuminazone commerciale, da oste divenne pasticciere e la sua osteria si convertì in un laboratorio dolciario, poi, per vendere più facilmente il dolce lo adeguò ai gusti del tempo, fece una leggera variazione sul tema, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la protuberanza superiore a cappuccio di monaca. Era nata la sfogliatella. La sua varietà più famosa, la cosiddetta “riccia”, mantiene da allora la sua forma triangolare, a conchiglia, croccantissima, vagamente rococò composta da strati sottilissimi di pasta sfoglia sovrapposti gli uni agli altri, ripiena di semola, uova, ricotta, canditi, latte e zucchero.
Esiste, infine, anche una terza variante della sfogliatella, quella “frolla”, di forma tondeggiante, realizzata con morbida pasta frolla e con il medesimo ripieno della sfogliatella riccia. Come dicevamo le varietà della sfogliatella sono la “riccia” la “frolla” e la “ Santa Rosa”, quella appunto che in origine veniva guarnita con crema pasticciera e 7 dico sette amarene. Vanno mangiate calde, attenzione quindi a non scottarvi del suo bollente ripieno!
Aneddoto
Il vecchio proprietario del monastero Santarosa, PierLuigi Caterina, una persona molto colta ed uno storico appassionato, raccontò tanti anni fa, un curioso e simpatico episodio legato alla sfogliatella santarosa…
si narra, appunto, che le suore che abitavano il monastero essendo di clausura, era vietatissimo per loro avere contatti con il mondo esterno, ma caso volle che proprio il muro in prossimità della cucina del convento presentava una piccola fessura che certamente, non potendo mai intaccare la solidità dello spessissimo muro del monastero, permise ad una monaca di istaurare, seppur molto labile, un contatto umano con un contadino-giardiniere che lavorava la terra del convento.
La fessura dalla suora, era stata coperta e nascosta all’interno da occhi indiscreti con un immagine sacra che veniva accortamente rimossa ogni qualvolta la monaca sapeva di incontrare il giardiniere, al quale donava per mezzo di questo piccolo varco un pezzo di pane, preziosissimo agli occhi ed alla pancia del povero contadino. Un giorno, però, la suora invece di infilare il solito pane, donò al contadino un pezzo del nuovo dolce inventato. Il giorno dopo nella fessura la monaca vi trovò una bellissima rosa…
forse da questo episodio il dolce fu chiamato Santarosa?